Il rapporto tra l’individuo ed internet nel corso del tempo si è evoluto ad un livello che oggi l’essere in rete viene percepito come un bisogno, e questo i brand hanno imparato a sfruttarlo per fini commerciali con l’aiuto del selfie.
L’evoluzione dei social è andata di pari passo con l’inasprirsi dell’individualismo e del personalismo, che si è liberato nel corso degli anni spezzando le catene del confronto con la società che contribuivano a mantenere un certo equilibrio; l’espressione massima di questo processo, giunto ad una delle sue massime radicalizzazioni è il selfie, una forma di presenzialismo social che già nel nome esclude un rapporto con la società, ed eleva a totem il rapporto con se stessi e con la propria immagine.
L’individualismo crescente nelle rappresentazioni “istantanee” ha connotato gli utenti come Testimonial iperconnessi che i brand hanno prontamente raccolto e accolto, rappresentando un potenziale bacino pubblicitario gratuito al quale affidare il compito di far “parlare” il prodotto; il crescente utilizzo dell’engagement ma soprattutto il continuo solleticare la vena pulsante dell’ego ha trasformato gli utenti in amplificatori del messaggio.
Non c’è virtù se non c’è immortalitàIvan – Fratelli Karamazof
Il pensiero assillante di questa società sembra infatti quello di incastonare nel tempo i propri momenti, la narrazione del proprio ego si fa virtù, e l’essere sociale vive immerso in questa battaglia di narrazioni, immerso in questo costante collezionare momenti, luoghi ed esperienze, esperienza che si fa immagine e rappresentazione come testimonianza di se stessi. L’interiorizzazione del proprio vissuto fa fatica ad emergere, è sufficiente averne la testimonianza figurativa che sembra diventare vissuto senza sostanza, digitalizzato e dato in pasto alla modernità.
Bauman parla del sospetto universale, che rimpiazza la fiducia nei legami, le relazioni infatti vengono ritenute non degne di quell’investimento del proprio tempo, necessario per poterle portare avanti e consolidarle; la rete con i social network ha sopperito a tutto questo depotenziando il concetto di fiducia, concedendo a tutti la possibilità di essere nella propria rete di amici ma confinando ogni individuo in un limbo in cui la relazione è effimera, ma soprattutto mantenendo la possibilità di espellere chiunque senza dover sottostare ai vincoli di una relazione reale. Come le esperienze, i luoghi anche le relazioni sono diventate oggetto di collezione, la paura di non accumulare “ricchezza sociale” diventa frenesia, la febbre dell’oro sociale si scatena ogni giorno tra le dita degli avidi cercatori di relazione. Bauman resta attuale in questo caso anche nel concetto di “rifiuto”, la modernità sperimenta ogni giorno la paura di essere rifiutati, alimenta il desiderio di relazioni digitali che servono a scampare a quell’indecoroso declino al quale vanno incontro gli oggetti tecnologici che occorrono per inseguire l’eternità. Riciclare relazioni per non essere riciclati a nostra volta è l’imperativo categorico dell’individuo moderno, e la rappresentazione attraverso le immagini della propria vita (selfie) è il motore attraverso il quale renderla appetibile agli occhi degli utenti.
L’individuo come entità viene soppiantato dal “profilo”, l’esistenza come atto di affermazione diventa catalogazione e rappresentazione del vissuto; non c’è da meravigliarsi se dal 2008 la Sindrome da disconnessione sia andata aumentando, una volta ricreata e ridefinita la propria esistenza, inizia il conflitto con la realtà.
Ciò che ogni brand dovrebbe intercettare come responsabilità, è la rappresentazione della società dalla quale non bisogna solo trarre informazioni ma nella quale proporre contenuti che possano raffinarla, la produzione industriale e la comunicazione di pari passo hanno definito nel tempo “l’individuo mono-porzione” creando il suggestivo bisogno del proprio spazio vitale e alimentandolo con i propri ritrovati (dal food alla tecnologia ogni individuo può condurre una vita senza un minimo confronto, pasti individuali preconfezionati, canali televisivi suddivisi per generi, esperienze di viaggio individuali).
Il selfie come collezionismo di esperienze
Le esperienze di vita che gli utenti più raffinati tentano di raccontare in narrazioni più articolate (blogger) diventano oggetti di collezione da appuntare sul proprio profilo tramite i selfie, l’individualità di moltiplica e si autoriproduce istantaneamente. Negli scatti dei viaggi spesso i selfie sono sempre più rispetto a quelli che ritraggono paesaggi, luoghi, l’auto affermazione dell’esserci stati diventa la propria cartolina. Anche in questo caso i vari contest online hanno contribuito a sfruttare commercialmente l’ondata di individualismo vacanziero, inducendo l’utente a diventare testimonial di un prodotto o di un servizio ed alimentando la fame di eternità.